NON SARA’ PACE – 8 Marzo 2011
(Rosanna Tafanelli)
Non sarà pace per noi,
finchè le lacrime di una sola donna
bagneranno ancora aule di tribunali
o navate di chiese,
per un dolore che non trova parole.
Non sarà pace,
finchè il corpo di una sola donna
giacerà ancora in sale d’obitorio
o in letti d’ospedale,
per una violenza che non ha ragione.
Non sarà pace,
finchè i passi di una sola donna
risuoneranno ancora in strade di periferia
o in ville di potenti,
per un compenso che è senza dignità.
Non sarà pace,
finchè la rabbia di una sola donna
urlerà ancora nelle piazze del paese
o nel buio della sua mente,
per un’ingiustizia che non prevede riscatto.
Non sarà pace per noi, uomini e donne,
finchè una sola donna non otterrà rispetto.
Ephemera (Francesco Faloppi)
Tutto è buono, tutto è niente.
La coscienza dell’uomo è la realtà multiforme
effimera come tutto ciò che accade
da declamare in versi: la materia, l’uomo o un insieme di norme
come il volo improvviso dell’ephemera dopo il tramonto.
La pena delle anime spente
l’unico esistente è il cavaliere che passa attraverso il buio
con spada lucente
e percorre distese di solitudine.
Tutto è inconcepibile, tutto è niente.
Notte silenziosa, pianeti in posizione
si danza nel silenzio, sempre con la medesima fierezza
del senza tempo e senza spazio
nello stesso angolo d’ampiezza.
Nel chiarore lunare
solo un orologio da viaggio
fermo all’ora della partenza
la cenere sparsa è la traccia del mio passaggio.
Tutto è luce, tutto è niente.
Rumori a cui non so dare nome
poi il silenzio del lampo
e i pianeti mettono in scena la loro pantomima
in un ballo piu lento del tempo.
Signori della visuale e della contemplazione loro
essere meschino, io
moscerino fra elefanti d’oro
immuni alla gravità.
Tutto è leggerezza, tutto è niente.
Betelgeuse, Bellatrix, Alnitak
stelle morenti di vacuità
declini di luce
fulgore e opacità.
Folli orge dell’immaginazione
in una galassia di corpi troppo lontani
ai confini dell’astrazione
fra la materia e l’anti materia.
Tutto è astrazione, tutto è niente.
Senza tempo e senza spazio,
nessun cordone nella placenta cosmica, nessun sofisma a scadenza
solo vento tiepido da respirare
solo bastioni senza confini di decadenza.
Muoio stanotte nel silenzio
testimone la smorfia della luna piena
poi saranno le urla delle costellazioni
come la vita dell’ephemera, la mia dura un giro di altalena.
Tutto esiste, tutto è niente.
Poniti una domanda… (Cinzia Dipace)
Vita fra tante vite,
nessuno ti chiede di comprendere,
nessuno ti chiede più di ciò che puoi dare,
essere umano fra tanti esseri umani,
non credetemi diversa
perchè non cammino come voi,
non ho il vostro passo.
Il mio cuore batte come il vostro,
forse di più,
percepisco le emozioni,
il dolore,
la sofferenza,
come la gioia,
non ho bisogno di pietà,
quello che non posso più fare,
semplicemente lo modifico,
ma non evito gli ostacoli,
li affronto
e non me ne frega nulla
se frano su di essi,
il giorno dopo mi rialzo.
Non hai mai ascoltato un urlo di dolore,
perchè il vero dolore non si urla,
si sussurra a chi può sentirlo,
che poi venga colto o no,
poco importa,
basta non tenersi le cose dentro,
perchè rancore e rabbia
alla lunga diventano macigni,
che fanno male solo a te.
Scrollati dalle spalle l’apatia,
viviti quando puoi
e chi non è capace di mostrare
il benchè minimo sentimento,
chi ti mentirà,
chi ti ferirà ancora
nel corso della tua esistenza,
perderà la sua consistenza.
Io sono viva,
anche se non corro,
io non ho bisogno per forza di qualcuno accanto,
che mi voglia bene solo per compassione,
ho una dignità,
sono donna a tutti gli effetti,
ho i miei limiti,
come tutti,
ho la mia storia,
come tutti,
ma nel bene o nel male,
io mi son sempre mossa,
tu sei sicuro di averlo fatto ? …
Poniti questa domanda ogni mattina
e poi vieni da me e guardami negli occhi …
Africa (Viola Tatham)
Sottili braccia tese come raggi
da diversi soli nel cielo degli oltraggi.
Gioco di vecchi bambini
appesi a polverosi finestrini
di colorati autobus stranieri
e ammutoliti vacanzieri
dietro freschi occhiali scuri.
Bianchi sorrisi che non sai spiegare
piedi nel fango, occhi di mare.
Cresce il vocio e ti buca il cuore
chiedono pane, senza pudore
non caramelle che danno la sete.
Corpi coperti da stracci e mosquiti
danze tribali, notti di riti.
Reo tutto il mondo che tace.
Canti di guerra, inni di pace
tra acqua impura come il peccato.
Qualcuno ricorderà di questo viaggio
non solo il mare e le feste del villaggio?
Torno in piedi (Alejandra Balhaus )
Torno in piedi camminando su questa terra,
Torno in piedi lasciando che i miei occhi urlino
Torno in piedi vestita del mio amore per questo mondo
che mi bacia lasciandomi l ‘amarezza
Torno senza umiliarmi,
la mia guerra inizia con il mio piede su questa società.
Torno in cammino
Torno osservando i miei piedi durante il loro ballo di speranza,
in quel canto di giustizia che sfamerà il mio sangue, la mia carne.
Torno in piedi per chiedere il mio diritto,
un diritto bagnato con il sudore da lavoratore.
Torno in piedi con le mie mani sciupate
come le ali di una farfalla appena nata
Torno con la speranza di riempirle con una società giusta.
Torno in piedi
Torno in piedi sul cammino di un lavoratore
sotto la pioggia che nasconde la mia sofferenza di una crisi sociale.
Torno in piedi e ritornerò in piedi per tornare in piedi.
Nu criaturo prega (Carmen Auletta)
Ti prego, si, ti prego oh mio Signore,
vulesse addeventà televisore,
pecchè tenesse na stanza speciale
al centro, proprio a nu posto cruciale.
Tenesse po’ tutt’’a famiglia attuorne,
ca stesse vicino a me nott’’e juorno.
E quanno parlarraggio seriamente
starranno pure a sentì attentamente.
Voglio tenè ll’attenzione speciale
comme succede si’ a tivù và male
e pò vulesse stà ‘nzieme a papà
ca vene troppo stanco ‘a faticà.
Mammà cercasse a me continuamente
pensanno ‘e divagà nu poco a mente.
Putesse stà cu tutti in compagnia
co’ ‘ i miei fratelli sempe in allegria.
E si nun dico niente ch’è ‘mportante
‘o stesso po’ diverto a tutti quanti.
Nun chiedo troppo, caro mio Signore,
sultanto d’essere televisore.
Caduta libera (A tutte le visioni d’altro)
(Marco Nuzzo)
Velluto della piaggeria,
il sincretismo dell’adoratore
sventola barriere,
trame di fango e lusso e carni
e vincoli di materia:
soggiogami la mente, mio Imperatore,
poiché di falsi dèi io m’illuda
marcando concepirmi a essi eguale,
che non si chiede più, oramai,
il divenirsi originale,
ma solo frazioni d’essenza
nelle respirazioni di bugie
di vita astratta, arresa.
Grondando alla scatola chiusa
mi tramonterò a tuo schiavo
perdente come tu mi vuoi,
in fedele caduta libera.
Il tesoro nascosto (Pino Viti)
Con un soldo di dolore
ho comprato l’anima
dei mercanti d’ombra
che si nutrono del buio
delle anime e dei corpi
e ne ho sparso al vento
il respiro cattivo.
Con un soldo di lacrime
ho comprato le mani
di chi vende morte
negli angoli dell’inferno
nei tunnel della mente
e ne ho sparso in terra
le dita monche di vita
Con un soldo di giustizia
ho comprato gli occhi
di chi non vede che odio
senza guardare gli altri
e ne ho gettato in mare
sguardi e riflessi d’invidia
perfidi lampi di violenza.
Con un soldo di pace
ho comprato le bombe
che brillano nel cielo nero
sudario di mondi malati
e le ho bruciate in un lago
di sangue e di paura.
Con un soldo di miseria
ho comprato il cibo
di chi si nutre di fame
spezzando il pane
in velenose briciole
e ne ho sfamato i vermi
che insidiano patrie e chimere.
Non ho piu’ soldi adesso
ero ricco come i poveri
sono povero come i ricchi
solo un soldo di speranza
potrà farmi ancora vivere,
sopravvivendo nell’attesa
di un tesoro di giustizia.
Tirannita’ (Gioia Lomasti)
Tramar colpa al respinger delle quiete
lottar s’arrese in vetri che possenti
sorger all’implorarne in sole pietre
strugger della follia rese ai clementi
dolce fardello scinder la catena
che schiocco sulla via restia al declino
protrarsi al ripiegarne della schiena
e a terra rifugiarne all’or d’inchino
mano che impresse lucide scintille
del cuor meschino in runa ne sorresse
che del corroder sordo allor destino
silente dell’imploro colar tesse
e voi che delle genti ne intingete
menti che al luminar della saggezza
stender come dì un velo la caparbia
che ai volti della stele ne ribrezza
d’un coglier di giullare che ne intrise
tremor di terre sperderne ai suoi pegni
amor che allontanar pungente arrese
che d’animo punirne sabbie in pugni
e attor che si descrive delle membra
vociar di sillabario ne corrode
ne annega e con le grinfie ne rammenda
sonante delle gesta alla sua ode
e segno ne sospinse alla saggezza
e cruna rilegarne ai mille intagli
che sole in nubi muta della brezza
padrone mendicante a sola carne.
17 marzo 2011 (Alessandra Bernardini)
La mostra di Tamara De Lempicka, prevede l’ingresso per le diciassette; è la vigilia del trentesimo anniversario, dalla sua dipartita. Il Vittoriano adornato dalle bandiere tricolori, mi riaccoglie nella mia città. Vorrei immortalarlo, per ricordare che la Lega, ha tentato di non far confermare l’Unità d’Italia, come giorno “festivo”.
Il cielo, appare plumbeo. La brecciolina, naviga nel fango.
Un gruppo di persone, circonda qualcosa…
Qualcuno grida: “Chiamate, i vigili!” “C’è bisogno, di un medico!”
Maria, mi guarda confusa, afferro il telefonino, pensiamo ad una rissa, un malore?
Ci avviciniamo ansiose, incerte, delle braccia indicano le terrazze dell’imponente monumento. Temiamo si tratti, di una disgrazia, scongiuriamo l’omicidio. Interpelliamo, i testimoni.
Un uomo è caduto, dall’Altare della Patria.
Nessuno si è reso conto, del fatale mentre.
La sua mano cerulea che emerge dal nucleo di individui, dichiara che l’ambulanza è oramai inutile… Ci facciamo da parte, giungono i ragazzi.
Sergio, scorge sconforto ed impotenza nei nostri occhi.
Francesco, ci saluta incredulo e demoralizzato.
Giovanni, ci viene incontro allibito, sconcertato.
Dopo alcune congetture arriviamo alla dolorosa conclusione, di trovarci innanzi ad un suicidio.
La nostra presenza, non è necessaria. Entriamo al museo, con l’animo sconvolto.
Ammiriamo le opere, chiedendoci: “perchè”? Un senso d’angoscia mi accompagna, sino all’uscita.
Cala la sera sul sipario dell’orrore, ai Fori Imperiali.
Notiamo scioccati… che la salma, è ancora sul prato!
Sul suo ultimo giaciglio le nuvole di Piazza Venezia, hanno pianto pacatamente.
Le perizie legali han terminato, il loro macabro compito. Il lenzuolo bianco della Croce Rossa, è la sua coperta definitiva.
Verrà finalmente trasportato, in obitorio.
Un clochard di mezza età proveniente dalla Romania, sembra sia stato. Solo, lontano dalla sua terra natia, con uno zaino contenente i pochi effetti personali, ha deciso così disperatamente, di porre fine al suo viaggio…
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